Dopo 26 anni l’Italia non è ancora libera dall’amianto. Legambiente: l’anello debole è lo smaltimento

Stando agli ultimi dati diffusi dall’Inail, in Italia sono 21.463 i casi di mesotelioma maligno tra il 1993 e il 2012, e il cancro provocato dall’esposizione all’amianto rappresenta un’epidemia che nei prossimi anni probabilmente continuerà ad aumentare. Anche se l’amianto è al bando in Italia ormai da 26 anni (grazie alla legge 257/92), «si continua e purtroppo si continuerà a morire per i prossimi 130 anni – spiegava un anno fa Ezio Bonanni, presidente Ona – considerando che, anche con le più rosee aspettative, le bonifiche non finiranno prima di 85 anni». Stime che purtroppo potrebbero rivelarsi addirittura ottimistiche: il quadro più aggiornato in materia è stato fornito oggi da Legambiente con il rapporto Liberi dall’’amianto?, pubblicato alla vigilia della Giornata mondiale dedicata alle vittime per malattie asbesto correlate, che ricorre ogni 28 aprile.

A tre anni di distanza dall’ultimo report, il Cigno verde è tornato a inviare un questionario agli uffici competenti regionali con l’obiettivo di tracciare un quadro della situazione attuale: hanno risposto 15 tra Regioni e Province Autonome (mancano all’appello Abruzzo, Calabria, Liguria, Molise, Toscana e Umbria, per le quali sono stati utilizzati i dati 2015), e le buone notizie sono poche. Soprattutto, sono più che compensate dai passi indietro compiuti nel mentre.

Sulla base delle risposte date dalle Regioni al questionario inviato, sul territorio nazionale sono 370mila le strutture dove è presente amianto censite al 2018, per un totale di quasi 58milioni di metri quadrati di coperture in cemento amianto. Di queste 370mila strutture, 20.296 sono siti industriali (quasi il triplo rispetto all’indagine del 2015), 50.744 sono edifici pubblici (+10% rispetto al 2015%), 214.469 sono edifici privati (+50% rispetto al 2015%), 65.593 le coperture in cemento amianto (+95% rispetto al 2015%) e 18.945 altra tipologia di siti (dieci volte di quanto censito nel 2015). Di fronte a questa situazione, le procedure di bonifica e rimozione dall’amianto nel nostro Paese sono ancora in forte ritardo, visto che sono 6869 gli edifici pubblici e privati ad oggi bonificati su un totale, ancora sottostimato, di 265.213 (tra edifici pubblici e privati). E nel mentre il Piano regionale amianto, previsto dalle L.257/92, nel 2018 deve essere ancora approvato in due regioni, il Lazio e la Provincia Autonoma di Trento; non va meglio per il “Testo unico per il riordino, il coordinamento e l’integrazione di tutta la normativa in materia di amianto”, presentato nel novembre del 2016 al Senato e bloccato da due anni a Palazzo Madama.

Ma c’è un elemento più di ogni altro che certifica il continuo affievolirsi della battaglia nazionale contro l’amianto, nonostante tutti i proclami che vanno in direzione contraria, e secondo Legambiente è lo stesso già individuato dal ministero dell’Ambiente: mancano le discariche dove conferire l’amianto bonificato. Secondo i dati di Ispra, nel 2015 nel nostro Paese sono stati prodotti 369mila tonnellate di rifiuti contenenti amianto (71% al Nord, 18,4% al Centro e 10,6% al Sud): di queste, 227mila tonnellate sono stati smaltiti in discarica (sono prevalentemente “rifiuti da materiali di costruzione contenenti amianto”), mentre 145mila tonnellate di rifiuti contenenti amianto sono stati esportati nelle miniere dismesse della Germania, un’opzione che – fanno sapere dall’Ispra – presto neanche ci sarà più.

Come spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente e membro del think tank di greenreport, dal «dossier “Liberi dall’amianto?” emergono tre questioni prioritarie – bonifiche, smaltimento e leva economica – che devono essere affrontate con la massima urgenza sia a livello regionale che nazionale. Occorre completare al più presto il censimento e la mappatura dei siti contenenti amianto, su cui definire le priorità di bonifica a partire dalle scuole in cui è ancora presente la pericolosa fibra. Il numero esiguo di discariche presenti nelle Regioni incide sia sui costi di smaltimento che sui tempi di rimozione, senza tralasciare la diffusa pratica dell’abbandono incontrollato dei rifiuti. Non è più sostenibile l’esportazione all’estero dell’amianto rimosso nel nostro Paese, per questo è importante provvedere ad implementare l’impiantistica su tutto il territorio nazionale. Infine occorre ripristinare e rendere stabile e duraturo il sistema degli incentivi per la sostituzione eternit/fotovoltaico, visti gli importanti risultati ottenuti in passato è assurdo che questo strumento sia stato rimosso». Un’iniziativa meritoria in tal senso è stata lanciata su Change.org e veleggia già attorno alle 40mila firme, ma anche le migliori operazioni di bonifica non troveranno sbocchi se continueranno a mancare le discariche. Come sottolinea ancora Legambiente, lo smaltimento rimane infatti «l’altro anello debole della catena: le regioni dotate di almeno un impianto specifico per l’amianto sono solo 8 (erano 11 nel 2015) per un totale di 18 impianti (erano 24 fino a pochi anni fa): in Sardegna e Piemonte ce ne sono 4 (di cui uno per le sole attività legate al SIN di Casale Monferrato in Piemonte), 3 in Lombardia e 2 in Basilicata ed Emilia Romagna. 1 solo l’impianto esistente in Friuli Venezia Giulia, Puglia e nella Provincia Autonoma di Bolzano. Ad oggi gli impianti sono quasi pieni, le volumetrie residue comunicate con i questionari sono pari a 2,7 milioni di metri cubi (un terzo in meno rispetto ai 4,1 milioni di mc del 2015) e sarebbero a malapena sufficienti a smaltire i soli quantitativi già previsti, ad esempio, dal Piano Regionale della Regione Piemonte che stima in 2 milioni di metri cubi i quantitativi delle coperture in cemento amianto ancora da bonificare. E non si vede la luce neanche per i nuovi impianti previsti dai vari piani regionali sui rifiuti».

Ma anziché conferire i rifiuti contenenti amianto in discarica, non potrebbe esser più proficuo intraprendere altre strade? Per rispondere con raziocinio a questa domanda, Legambiente raccoglie nel suo dossier anche un contributo dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iia), proprio per fare il punto sullo stato attuale delle tecnologie esistenti per l’inertizzazione dell’amianto – raggruppabili nelle tre macrocategorie “trattamenti termici” “trattamenti chimici” e “trattamenti meccano chimici” – e la risposta è molto chiara: «Il livello di industrializzazione di alcune tecnologie è oggi in grado di affrontare questa problematica in maniera tecnicamente soddisfacente», ma al contempo «attualmente, tutte queste tecnologie sono più costose rispetto al collocamento in discarica: questo potrebbe essere considerato il motivo principale del basso livello di diffusione di questi processi».

In compenso, sappiamo già da molti anni che lo smaltimento dell’amianto in discariche appositamente autorizzate e monitorate è un’opzione percorribile e sicura, dato che l’amianto è un minerale e sotto terra torna a fare il minerale. Basterebbe rendersi conto che il vero pericolo sta nell’amianto che abbiamo intorno ogni giorno, nelle nostre scuole, nei nostri ospedali, nelle nostre case come su bus e navi. Bonificarlo e smaltirlo in discarica rimane l’opzione migliore a nostra disposizione per metterci al riparo da questi pericoli.

Notizia tratta dal sito www.greenreport.it

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