Come cambiare i propri consumi per ridurre l’inquinamento da rifiuti plastici in mare

Nel 1963 l’italiano Giulio Natta venne insignito del premio Nobel per la chimica: era nato il polipropilene isotattico, la prima plastica, e in poco più di 50 anni i materiali polimerici hanno cambiato radicalmente il nostro modo di vivere – tanto che secondo la ricerca Censis La sfida della plastica il 96,6% degli italiani ritiene la plastica (o meglio, le plastiche) fondamentale almeno in un ambito della propria vita quotidiana mentre soltanto il 3% eliminerebbe la plastica del tutto.

Eppure le caratteristiche uniche della plastica – il basso costo, l’alta funzionalità e la grande resistenza – stanno diventando ormai un problema enorme per l’ambiente, a causa del cattivo uso (e della cattiva gestione dei rifiuti post-consumo) che ne facciamo. Negli ultimi dieci anni infatti la produzione della plastica è stata superiore a quella di tutto il XX secolo e, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), se non si inverte il trend attuale, nel 2050 nei mari ci sarà più plastica che pesce.

Per questo da tempo l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) studia e sviluppa «nuove tecnologie e processi per il recupero e il riciclo di materie prime da rifiuti al servizio del Paese; dal 2015, è anche impegnata nell’attività di monitoraggio e caratterizzazione delle plastiche nei mari, nei laghi, nei fiumi e nelle spiagge; inoltre si occupa di analizzare i fragili equilibri degli ecosistemi – spiega Roberto Morabito, direttore del dipartimento “Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali” dell’Enea – Partendo da queste attività e dall’esperienza pluriennale dei nostri ricercatori, intendiamo favorire comportamenti più compatibili con l’ambiente, riducendo il consumo di plastica ed evitandone l’abuso e l’uso scorretto, senza però ‘criminalizzare’ il materiale in sé».

«I materiali polimerici sono materiali leggeri e resistenti dei quali non possiamo più fare a meno – aggiunge Loris Pietrelli della divisione “Protezione e valorizzazione del territorio e del capitale naturale” – Inoltre, si tratta di materiali che ‘appartengono’ alla Terra, provenendo dalle sedimentazioni millenarie che hanno generato il petrolio. Il vero cambiamento di paradigma sta nell’evitare gli usi impropri della plastica, con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza delle nostre azioni quotidiane, ad esempio nell’acquisto di prodotti usa e getta e nel loro smaltimento. Ma come ricercatori puntiamo anche a trasformare la plastica da rifiuto disperso nell’ambiente a risorsa per produrre altri oggetti o energia, all’insegna di un’economia circolare».

Anche i singoli consumatori hanno un ruolo importante nella transizione verso l’economia circolare, e l’Enea elenca una serie di buone pratiche che ognuno potrebbe (e dovrebbe) seguire. Come privilegiare l’uso di vestiario con tessuti in fibre naturali (è emerso infatti che per ogni lavaggio in lavatrice si possono scaricare fino a 700mila microfibre, la maggior parte di origine sintetica), il consumo di acqua del rubinetto anziché in bottiglia, l’acquisto di prodotti alla spina e ricariche, oppure con packaging ridotto; al contrario, l’acquisto di prodotti alimentari freschi già confezionati (ortofrutta, pane, formaggi), come l’impiego di shopper e/o prodotti monouso in genere dovrebbe essere evitato il più possibile.

Notizia tratta dal sito www.greenreport.it

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