Utilizzare le piante contro l’inquinamento da prodotti farmaceutici nelle acque reflue urbane

L’inquinamento da prodotti farmaceutici è un problema globale al quale la comunità scientifica cerca di trovare soluzioni, oggi con lo studio “Poplar and diclofenac pollution: A focus on physiology, oxidative stress and uptake in plant organs”, pubblicato su Science of The Total Environment, si aprono nuove possibilità.

Infatti, Il team di ricercatori autori dello studio – composto da Erika Carla Pierattini, Alessandra Francini Luca Sebastiani dell’Istituto di scienze della vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Christian Huber e Peter Schröder del Research Unit Comparative Microbiome Analysis dell’Helmholtz ZentrumMünchen – Deutsches Forschungszentrumfür Gesundheit und Umwelt (GmbH) – dicono che alcune piante e, in particolare il pioppo, hanno la capacità di accumulare e degradare prodotti farmaceutici.

Lo studio ha dimostrato che «Il pioppo Populus alba clone Villafranca, già noto per le sue proprietà di accumulare metalli pesanti e sostanze xenobiotiche organiche (sostanze estranee rispetto agli organismi) presenti nei suoli e nelle acque, è anche capace di assorbire, trasformare, accumulare nella radice sostanze inquinanti di origine farmaceutica come il Diclofenac. Questo principio attivo, alla base di farmaci antinfiammatori non steroidei assai diffusi per trattare – ad esempio – infiammazioni di carattere muscolare, risulta tra quelli spesso presenti nelle acque reflue urbane, come confermano numerosi studi».

Da anni il gruppo di ricerca coordinato da Sebastiani, studia il ruolo delle specie arboree di interesse agrario nel rimuovere gli inquinanti organici di origine farmaceutica dalle acque e dai suoli. e il direttore dell’Istituto di scienze della vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa conclude: «Capire come le piante rispondono agli inquinanti organici xenobiotici ci può aiutare a contrastare l’inquinamento in modo naturale. Allo stesso tempo, ci permette di verificare se questi prodotti danneggiano le colture e, nel caso di specie commestibili, se si accumulano negli organi di cui l’uomo si nutre».

Notizia tratta dal sito www.greenreport.it

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