Impianti a emissioni zero e consapevolezza delle comunità locali nel futuro della geotermia Ue

Secondo i dati presentati dal EGEC – Consiglio Europeo per l’Energia Geotermica all’interno dell’ultimo l’EGEC Market Report Update, al 2016 sono 102 le centrali geotermiche operative nel continente europeo, con una capacità installata totale di circa 2,5 GWe, di cui 1 GWe all’interno di Paesi appartenenti all’Unione Europea.

Potenza in grado di assicurare, complessivamente, una produzione elettrica annuale da geotermia stimata di 15 TWh, con una previsione ascendente: comprendendo nel computo il mercato in rapida crescita della Turchia, la capacità installata totale in Europa dovrebbe infatti raggiungere i 3GWe nel 2020. Eppure non è in Europa che il mercato si presenta oggi più dinamico, quanto piuttosto negli Stati Uniti, nelle Filippine, Indonesia, Messico e Kenya.

Tuttavia, un nuovo vigore potrebbe giungere in UE dalle risorse geotermiche cosiddette “non convenzionali” – come quelle supercritiche, magmatiche o offshore – compresi i cosiddetti EGS (Enhanced Geothermal Systems).

La stessa UE, all’interno del Programma di attuazione appena approvato all’interno della Roadmap Deep Geothermal ipotizza come all’interno di uno scenario di decarbonizzazione a lungo termine – e a condizione che gli EGS vengano impiegati su larga scala -, la produzione di energia geotermica possa raggiungere i 540 TWh nel 2050 soddisfacendo così circa il 12,5% della domanda globale di elettricità dei Paesi UE e limitrofi (e coltivando al contempo solo il 20% circa del potenziale geotermico tecnicamente disponibile).

Una prospettiva che, naturalmente, necessita di una governance. È in questo solco appunto che s’inserisce il Programma di attuazione sopracitato, individuando 8 attività di ricerca e innovazione, 2 barriere non tecnologiche e altri 2 temi trasversali sui quali è necessario concentrare gli sforzi per garantire uno sviluppo sostenibile alla geotermia in Europa. Sforzi che, in parte, sono già in atto.

Come si argomenta infatti all’interno del documento SET-Plan Temporary Working Group – Deep Geothermal Implementation Plan, le attività di ricerca elencate ai numeri 1, 2, 5, 6 e 7 (uso del calore geotermico nelle aree urbane; materiali, metodi e attrezzature per migliorare l’operatività delle infrastrutture e degli sistemi geotermici; tecniche di esplorazione; tecniche avanzate di perforazione; integrazione di energia geotermica nel sistema energetico e flessibilità della rete) – nonché quelle legate a entrambe le barriere non tecnologiche individuate (necessità di una maggiore accettazione sociale e mitigazione degli effetti indesiderati non richiesti) – sono ad oggi parzialmente coperte dal progetto europeo Geothermica, ma «considerevoli sforzi e finanziamenti ulteriori saranno necessari nei prossimi mesi e anni per raggiungere gli obiettivi». Un impegno che punta però a essere ben ripagato: le priorità individuate dall’Europa investono infatti moltissimi dei fronti più caldi della geotermia a livello nazionale e non, dagli impianti a zero emissioni all’accettabilità sociale della coltivazione geotermica stessa.

Per quanto riguarda, ad esempio, gli “impianti a emissioni zero”, l’attività di R&I è indirizzata allo sviluppo di centrali geotermiche e sistemi di cattura, stoccaggio e re-iniezione della CO2 all’interno di bacini geotermici caratterizzati per loro natura da elevati contenuti di anidride carbonica; al contempo, all’interno della stessa attività di R&I si punta ad aumentare la fattibilità e l’affidabilità dei sistemi a ciclo chiuso, dimostrando la possibilità di catturare gas incondensabili. Obiettivi sfidanti, per i quali vengono individuate in 123,4 milioni di euro le risorse necessarie all’attività di R&I; già oggi un progetto industriale pilota da 5 MWe in quest’ambito  «è sottoposto a procedura di autorizzazione in Italia, per un investimento previsto di 40 milioni di euro».

Più in generale, l’obiettivo è quello di avere le prime centrali geotermiche di questo tipo entro il 2025: si tratta di impianti che «potrebbero rappresentare un’ammiraglia mondiale, con rilevanti ripercussioni sul mercato per molti paesi (Italia, Turchia, Islanda, Kenya…)».

Ma oltre alle sfide tecnologiche ci sono quelle sociali. Per questo sono state individuate attività diverse da quelle di ricerca e innovazione da portare avanti, e una di queste punta ad «aumentare la consapevolezza delle comunità locali e il coinvolgimento delle parti interessate nelle ricerca di soluzioni geotermiche sostenibili». Il contributo finanziario necessario per quest’attività – attingendo a fondi nazionali, europei e privati – oscilla attorno ai 18,5-23,5 milioni di euro (con la possibilità di un impegno italiano di primo piano, pari a 8 milioni di euro), con risultati che si attende si svilupperanno nell’arco di tempo 2022-2025.

«La sfida – si legge nel documento – è valutare la natura delle preoccupazioni pubbliche e gli elementi che influenzano le percezioni individuali e di gruppo degli impianti geotermici, aumentare la comprensione della dimensione socioeconomica dell’energia geotermica e, laddove necessario, favorire il cambiamento nelle risposte della comunità ai nuovi ed esistenti impianti geotermiche. Possibili soluzioni tecnologiche per ridurre gli effetti ambientali e migliorare i benefici sociali – compresa la reiniezione di gas incondensabili in profondità e il controllo della sismicità – sono elementi chiave delle valutazioni socio-ambientali».

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